Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per la selva oscura del influencer fashion system: ché la diritta via era sovraffollata di fit check…
Sei quella persona che ha sempre desiderato lavorare nella moda, viverla in diretta, partecipare alle sfilate, scrivere di moda, magari anche ideare capi, studiare tendenze…
Insomma hai voluto “fare moda” da quando hai memoria; essere immersa in essa dalla colazione alla tisanina post cena (per gli amici, limoncello ghiacciato)
Sei quella persona che ha sempre desiderato lavorare nella moda ma non hai mai capito quale fosse il modo a te più congeniale per farlo. Tutte le strade possibili ti sembravano difficili o scontate, così hai cominciato a pensare che forse avresti dovuto creare la tua.
Poi hanno cominciato a comparire blogger, social, opinionistæ, e quel “sogno moda” ha cominciato a sembrare più facile da realizzare. Non come volevi tu. A tratti, quella nuova via d’accesso ti sembrava quasi troppo facile per essere vera.
Bisognava SOLO avere uno smartphone in mano, scaricare una app, investire in qualche accessorio di lusso e piacere a quanta più gente possibile. Easy. Fin troppo.
Per come iniziava a ristrutturarsi il fashion system percepivi che bisognasse rinunciare a qualcosa per entrare là dentro; non da ultimo, alla propria libertà, di espressione e di scelta. E alla personale ricerca di contenuto.
Volente o nolente ti sei ritrovata in quel flusso social, con il naso schiacciato sullo schermo e la carta di credito impressa a fuoco nella testa. Che dovevi essere pronta ad accaparrarti l’ultimo trend, magari quello grazie al quale avresti ottenuto un numero di like e share tale da conquistare, finalmente, la view della persona “giusta al momento giusto”.
Hai cominciato a desiderare di essere nel modo in cui vedevi che bisognava essere per realizzare quello che volevi essere.
Così il desiderio di partecipare alla moda si è trasformato in desiderio di esser vista, di avere tutti gli occhi puntati su di te, di essere corteggiata dai brand, ricevere vagonate di abiti e accessori senza neanche dover fare lo sforzo di relazionarti con qualcuno per averli.
Insomma, per un lasso di tempo piuttosto lungo sei stata unæ piccola Dante, perduta nella selva oscura dell’influecer fashion system.
Sei quella persona che desiderava lavorare nella moda più dei qualsiasi altra cosa. Per un po’ sei stata disposta anche a sacrificare il Contenuto della moda; hai accantonato studi, letture, approfondimenti, qualsivoglia spinta ad andare più in profondità.
Ti sei adagiata, come tuttæ, in superficie.
A guardare le vetrine, illuderti che la tua vita sarebbe cambiata, una Balenciaga alla volta, spendendo soldi in cose che non appartenevano alla tua identità, ma erano instagrammabili, e offrendoti gratuitamente come veicolo pubblicitario di brand tossici in cambio della ricondivisione di una storia. O di un 5% di sconto su una spesa che non avevi neanche intenzione di fare. Pur di entrare. Da qualche pertugio.
Sei quella persona che desiderava lavorare nella moda al punto da rinunciare a sentire, a vedere. E a perdere di vista i tuoi valori, la tua identità.
Volevi lavorare lì, anche a modo loro.
Di recente però, scrollando il feed, hai visto la foto di Anna Wintour in compagnia di Khaby Lame, il tiktoker più famoso del mondo. Bravo, dolce e simpatico ragazzo.
Che non aveva alcun senso vicino ad Anna, storica direttrice di Vogue America, quella che la moda la forgia prima che i designer la pensino, che decreta cosa deve e non deve piacerci a cicli stagionali.
Il digital inconsistente vicino al fisico iper consistente. Una dissonanza visiva atroce.
Al punto che la stessa Anna ha dovuto togliere i suoi iconici occhiali, incredula dinanzi a ciò che stava osservando, e vivendo.
Poi, sempre durante il meccanico scroll, hai letto che Dior, storica maison di moda di lusso, ha scelto Rachele Regini come volto della campagna per la nuova “iconica” borsa, la Lady 95.22. Scelta singolare, dato che Rachele è un volto poco noto. Per chi non sa che Rachele è la figlia di Mariagrazia Chiuri, art director del brand.
La Chiuri, che da tempo ha indossato il cappello del femminismo e ha fatto di “WE ALL SHOULD BE FEMINIST” il suo mantra. La stessa che nel suo “fare femminismo” in realtà non fa altro che prendere i principi base del patriarcato e declinarli al femminile, NON al femminismo.
Dunque ingiustizie, soprusi, furti intellettuali e raccomandazioni MA con la VAGINA.
Della serie, cambiando il sesso degli addendi, il risultato non cambia. MAI.
Infine, l’art director di Lanvin ha dato le dimissioni. Il terzo a congedarsi dallo scenario fashion nell’arco di circa un mese.
Dunque se è vero che la moda è specchio dei tempi in cui viviamo, dal punto di vista storico e socio-culturale, tra i motivi per cui i designer si stanno stancando e vanno via in massa , c’è che la loro creatività ormai è inutile, accantonata in un angolo perché non funzionale alle marketing reasons. C’è anche il fatto che, vivendo in una era fondamentalmente inconsistente , la creatività non c’è più, spenta, appassita. E se anche un pochino ne è rimasta, la tengono per sé.
Esponendola, la darebbero in pasto ai mille mila commentatori creators che su TikTok si limitano a “giudicare” in modo sterile, con zero competenze, zero valori, forti solo di potersi definire mediante un numero con la K.
Dunque, sei quella persona che desiderava lavorare nella moda, ma per come è diventata la moda allo stato attuale, ti elicita semplicemente disgusto.
Ti ritrovi ad un bivio:
- accettare in modo passivo la spazzatura moda che ti viene somministrata quotidianamente, desensibilizzare la tua mente e continuare a trovare il modo per entrare in un sistema putrido
oppure
- pulire l’idea della moda come la hai conosciuta fino ad ora, con convinzioni, credenze, idee, immondizia derivante da ogni poro infetto e parlante dell’universo, e ripartire da zero. Da un vuoto fertile, immacolato. Con altre persone che, come te, desiderano costruire qualcosa di social-mente nutriente e, insieme, dar vita ad una nuova area nel campo immenso della Moda, della Società e della Psicologia.
Che forse si riuscirà anche a dare risposta alla domanda che nel 2011 pose Franca Sozzani nel suo rimpianto editoriale, che attualizzato al 2023 è: