Pretty Psycho Things

Editoriali

Psicologia della Moda: cosa dice la Moda della nostra social-tà

Questo editoriale è ispirato ad un sogno che ho fatto qualche notte fa. Un sogno angosciante, torbido, tanto da svegliarmi di soprassalto. 

A parte il contenuto turpe, che non sto qui a riportare, in esso è emersa visivamente la dicotomia tra due piani di realtà: quella virtuale, patinata e perfetta e quella reale, cruda e disordinata.

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Pics by es.futuroprossimo.it

Dalla loro nascita, i social hanno costruito una dimensione pulita, asettica, senza odori, senza colori, in cui non c’è posto per le cose vive, a volte crudeli e dolorose del reale

Si sono assunti il compito di plasmare un mondo perfetto dove esistono solo estrema bellezza, volti sorridenti, massima felicità, vite in vacanza, possibilità di relazioni fino a poco fa impensabili, belle, anzi stupende e giuste parole su qualsivoglia tema, messaggi di speranza, storie di successo senza ammaccature, soluzioni semplici per problemi irrisolvibili

E se queste caratteristiche non le si possiede di default, i social danno a tuttæ la possibilità di acquisirle: basta applicare qualche filtro qua e là, selezionare minuziosamente i contenuti da postare per raccontarsela al top, distaccarsi dalla noia della propria vita e vivere quelle glamour degli altri. 

Prediligere la vita virtuale, perfetta e senza rischi, viene naturale. Chi non la sceglierebbe?

Per costruire questo mondo da sogno i social hanno man mano oscurato o bandito potenziali elementi disturbanti, limitando contenuti “inappropriati”, vietando l’utilizzo di determinate parole, oscurando fatti di vita reali, certo dolorosi ma che di fatto avvengono. 

Pian piano questa dissociazione virtuale ha portato ad una graduale dissociazione anche nel reale

Con un conseguente impoverimento in ciò che sapevamo fare meglio: creare. 

LA REALTÀ SUI SOCIAL È VERAMENTE COSÌ PERFETTA?

Riflettendo bene sulle dinamiche attive sui social, su cosa e come viene comunicato, su come lo elaboriamo e gli effetti che ha in noi, questa dimensione patinata non sembra poi così attraente.

Perché non ci fa vedere cose brutte, ma ce le fa sentire.

Pensiamo ad esempio alla campagna di Kim Kardashians per promuovere l’ultimo prodotto di Skims, l’Ultimate Nipple Bra. 

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Una adv di di ispirazione anni ’50, con una donna sexy e ammiccante, seduta dietro la scrivania con tanto di occhiali da vista da segretaria attizzante che stride tantissimo con la lotta all’emancipazione femminile condotta con fermento negli ultimi anni.

Adv che sfrutta un tema sociale ora fondamentale quale il surriscaldamento ambientale, come leva marketing per indurre a comprare un prodotto i cui processi di produzione andranno ad incidere a loro volta sul surriscaldamento.

Senza considerare che, di fatto, il reggiseno con capezzolo turgido incorporato non è altro che un ennesimo filtro con cui modificare una realtà che non ci piace o che ci fa paura, quale può essere l’invecchiamento o l’alterazione dell’immagine in seguito a mastectomia. 

Pensiamo anche al modo in cui assistiamo ad un continuo evitamento di responsabilità con relativa manipolazione della realtà. Quando a Naomi Campbell è stato fatto presente che, visti i tempi attuali di rapido decadimento ambientale, non è stato bello da parte sua firmare un contratto di collaborazione con un brand fast fashion che partecipa attivamente all’iper inquinamento, lei come ha risposto? Accusando di razzismo chi la accusava di sostenere il fast fashion. Eppure è di nuovo la top del momento.

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Pic by Google Immagini

Pensiamo a come da più parti arrivi un suggerimento a rifugiarsi nelle coperte comode del patriarcato, in quel bozzolo in cui è vero che la donna deve rinunciare a quasi tutti i suoi diritti, alla carriera, alla libertà, in cui deve accondiscendere passivamente ma in cui riceve in cambio protezione, accudimento, evitamento dei rischi e in cui le è richiesto “solo” di attendere con premura l’unico vero compito importante che le spetta: procreare. 

Pensiamo poi alla moda e a come renda ogni giorno più evidente che in realtà, per quanto parliamo, ci esponiamo, scriviamo, “influenziamo” cercando di cambiare le cose, esse restano sempre le stesse

Della body positivity, body neutrality, dell’inclusività, della sostenibilità, delle lotte contro la perfezione a tutti i costi, dell’invito a scelte di consumo consapevoli, dell’opposizione ai canoni di bellezza imposti, della parità di genere, del dialogo intergenerazionale, in realtà importa pochissimo

Solo nella misura in cui possono essere temi sfruttabili come leva di consumo, mai per operare un reale cambiamento interno

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Pic by Elle

Pensiamo a quanto sia breve la resistenza di qualsiasi tema sui social, alla velocità con cui si accende e subito si spegne. Lasciando lo spazio alla noia e a un vuoto che non si sa più come colmare. Il caso “penuria femminile e abbondanza di uomini caucasici” alla direzione dei più importanti brand del fashion system si è aperto e chiuso in 48 ore. La fiamma che si è bruciata più rapidamente nella storia dei social.

Il prezzo da pagare per una realtà patinata senza increspature è l’evitamento del cambiamento e la continua fuga dal presente. Come dimostrato dagli ingenti sforzi dei social media di silenziare le notizie riguardanti la situazione a Gaza.

Guardando sopracitati punti da questo punto di vista senzs prosciuttini sugli occhi vi siete sentitæ dissonanti, confusæ, traditæ e manipolatæ? Totalmente comprensibile!

Questo è il mondo virtuale. Vuoto, essenzialmente; in cui l’assenza di contenuto è diventata contenuto stesso. Subissato di parole, immagini silenziose, hashtag, il cui unico scopo è evitare di prendere contatto con la realtà e consapevolezza del totale caos in cui viviamo.

LA REALTÀ MATERIALE È VERAMENTE COSÌ IMPERFETTA?

Gli effetti dello scollamento dalla realtà si sono visti chiaramente nelle ultime collezioni moda, prive di innovazione, estro, creatività. Da Versace a Miu Miu, e infine l’altro ieri Phoebe Philo, i designer non hanno fatto altro che ravanare ognuno nel proprio passato e riproporre la solita minestra. In sintonia con il loro ieri, dissociato dal nostro oggi. 

Quando non si è in contatto con il presente, quando si evita di prendere consapevolezza di quello che c’è, per quanto faccia paura, non emergono bisogni dunque non c’è motivazione, non c’è attivazione; viene a mancare la spinta energetica, l’eccitazione che si prova quando ci si trova di fronte la realtà. Viene meno il bisogno di interagire con essa, di toccarla e quindi viene meno la creatività. 

Il processo creativo così si retroflette e va all’interno, al passato, dove ci sono sempre le solite cose e da creare resta ben poco.

Per quanto mi riguarda rendermi conto di quanto sia plastica e vacua la realtà virtuale mi ha mossa a ricercare di nuovo spasmodicamente la realtà fisica. 

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Pic by Fauxels through Pexels

E questa è anche la seconda dimensione del sogno.

Sono stata alla Barcelona Fashion Week, la 080 Barcelona. L’evento si è svolto in una unica sede, il Recinto Modernista de Sant Pau. Gli invitati alle sfilate avevano accesso diretto alla sala dove si svolgevano, mentre lo spazio esterno, l’Open Area, era allestita con bar, dj, poltrone e maxi schermo per consentire agli ospiti fuori di guardare comodamente le sfilate in diretta, ascoltando musica e sorseggiando un calice di vino. 

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Il calendario era ricco e programmato in maniera bilanciata, con le sfilate che si susseguivano con tempi lenti e rilassati.

Il clima all’esterno estremamente gioviale, giovanile e costituito da persone di ogni età, allegro, senza giudizio. Le persone erano vestite nei modi più disparati; una fucina di creatività e ispirazione. Tantissime le emozioni innescate dalla visione di alcuni outfit: ammirazione, stupore, tenerezza, sorpresa, gioia e anche paura.

È stata una realtà colorata, vivace, caotica, strillona, a tratti inquietante, ricca di elementi percettivi, quella a cui ho preso parte. Come quella del mio sogno.

psicologia della moda, 080 Barcelona, barcellona

È stata anche una realtà in cui mi sono arrivate in faccia tante evidenze, come:

  • organizzare un evento glamour in maniera sfarzosa coerentemente al rispetto dell’ambiente è possibile. Non è necessario riempire la città di limousine che schizzano da una location all’altra per rendere una fashion week più lussuosa e degna di attenzione;
  • le sfilate possono avere un ritmo lento, chilling, sereno ed equilibrato. Esattamente come dovrebbe essere il tempo che si dedica alla fruizione di un prodotto artistico. Corse, ansia, stress, cambi di abito al volo, facce preoccupate per gli estremi ritardi o che se la tirano scansando i fans non sono sinonimi di “moda”;
  • anche brand già esistenti e con una propria storia possono abbracciare l’upcycling e introdurre nuovi materiali 100% riciclati nel loro campionario
  • la moda è un prodotto collettivo in trasformazione poiché sottoposto alle contaminazioni di chiunque la indossi. Tutti noi. E in quanto prodotto artistico tutti abbiamo diritto a fruirne e a viverlo.

Non nego di essermi commossa per la bellezza dell’esperienza: mi sono sentita parte di qualcosa, di un processo artistico e culturale e mi ha colpita vedere che i miei valori erano stati davvero presi in considerazione, agiti da qualcuno, lungi dall’essere mero oggetto di #adv su un qualche social.

Osservare la creatività umana brulicante, il fervore, la gioia di condividere l’amore per la moda senza distinzioni massificanti ha riattivato anche me e come nel sogno, alla fine, ho scelto il presente reale, caotico, rumoroso, con mille profumi che si mischiano nell’aria, umano! al posto del glaciale virtuale, distorto e privo di profumi.

All’inizio i social hanno avuto successo perché consentivano una fuga dalla realtà, dalla sua noia e dai suoi contenuti meno piacevoli. Ora è il mondo fisico il luogo in cui rifugiarsi per fuggire dalla noia e dall’appiattimento, emotivo e valoriale, dei social. Curioso eh?!

Chissà come sarebbe la moda se ricominciasse ad approcciarsi al presente materico anziché fuggire sempre nel passato o in paralizzanti e piatti spazi virtuali…?

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